sabato 7 settembre 2013

Governo Letta Annienta l'economia del Paese

Annientare l'economia del Paese. Questo sembra essere l'unico, dichiarato, obiettivo del governo Letta.
Dopo avere finto di eliminare l'Imu, avere introdotto la "tassa di scopo" e avere di fatto annunciato che l'aumento dell'Iva è imprescindibile e inevitabile, il pupillo del Pd prepara l'ennesima mazzata ai danni del
Paese tutto: la svendita del patrimonio di Stato.
Una scelta presentata come una grande opportunità per il Paese tutto, ma che in realtà porterà enormi vantaggi economici solo a poche anzi, pochissime grandi lobby di potere internazionale che vedranno così
accresciuta la loro forza e il loro peso ai danni della Penisola. «In autunno - assicura il presidente del Consiglio Enrico Letta, in un colloquio con il Messaggero - ci sarà il piano per le dismissioni, poi un road show». 

Assicurato, insomma, l'impegno sulle dismissioni e le privatizzazioni annunciato agli investitori stranieri nel luglio scorso a Londra. «Sono qui a lavorare per cose decisive di medio-lungo periodo, tutte fondamentali per l'Italia», ha aggiunto Letta.
Ma quali sono i "gioielli di famiglia" dei quali Letta è pronto a sbarazzarsi, come si è detto, non certo a vantaggio del Paese, costretto a vendere a prezzo basso un tesoro che rischia di arricchire unicamente chi
compra?
Il forziere chiuso a doppia mandata è ricco e "depositato" al ministero dell'Economia. Via XX settembre, infatti, vanta partecipazioni dirette in una trentina di società con quote di maggioranza o controllo. Alcune di queste aziende sono quotate in Borsa e il Tesoro detiene partecipazioni di maggioranza. Asset fondamentali in settori strategici come l'energia e la Difesa. In particolare, il Mef detiene il 31,24% di Enel, il 30,20% di Finmeccanica, il 4,34% di Eni direttamente e il 25,76% attraverso Cdp. Quanto alle società non quotate lo Stato detiene il controllo di praticamente tutte le aziende. Spiccano le partecipazioni al 100% di
Invitalia (Agenzia Nazionale per l'Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d'impresa), Ferrovie dello Stato, Poste Italiane, Anas, Consip, Coni Servizi, Enav, Cinecittà Luce e Istituto Luce - Cinecittà.
L'elenco è lungo e comprende molte altre aziende: Consap (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici), Gse (Gestore dei Servizi Energetici), l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e Italia Lavoro. E ancora non è
tutto, ma l'elenco sarebbe troppo lungo per esaurirlo in maniera completa e dettagliata.
Quel che è certo è che la vendita o la svendita di società di "poco" interesse, specialmente in periodi di crisi, non attrae nessuno e anche se si trovasse un potenziale acquirente, la cifra di vendita sarebbe irrisoria. Ma quel che è peggio è che lo stesso scenario rischia di verificarsi per quelle importanti e di primario interesse per lo sviluppo e per la vita del Paese.
«In questo momento di crisi - sottolinea Maurizio Fugatti, responsabile economico della Lega Nord - procedere a dismissioni, soprattutto per quello che riguarda settori strategici per il Paese come ad esempio gli energetici è controproducente. Nei fatti si rischia di dare vita a una sorta di vendita che rischia di concludersi sottocosto magari senza fare incassare a chi vede nemmeno quello che dovrebbe portare a casa per il bene del Paese».
Il risultato? «Regalare queste attività strategiche ad altri Paesi che oggi hanno la liquidità necessaria per comprarli». E su questo Fugatti è perentorio e chiaro: «Gli asset strategici non si dovrebbero vendere nemmeno quando il sistema Paese sta bene; figuriamoci in periodo di crisi. Così facendo si rischia soltanto di ripetere quanto già fatto all'epoca delle grandi privatizzazioni delle partecipazioni statali che fece Prodi. Non dimentichiamoci - conclude Fugatti - che in quei momenti alcuni dicevano che bisognava vendere tutto e subito per fare guadagnare liquidità al sistema Paese. La morale? Abbiamo perso asset determinanti e guadagnato praticamente nulla».
Frena gli animi di chi vorrebbe vendere tutto e subito anche il sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta, "soddisfatto" per l'apertura del "dossier privatizzazioni", ma determinato a non dare vita a
una svendita: «ora entriamoci dentro per costruire un piano industriale. È necessario un approccio molto selettivo per distinguere tra gli asset strategici sui quali sono improponibili alienazioni, semmai una loro
valorizzazione, ed altri, su cui interventi in rapporto con i privati potrebbero portare a una sinergia utile».