Annientare l'economia del Paese. Questo sembra essere
l'unico, dichiarato, obiettivo del governo Letta.
Dopo avere finto di eliminare l'Imu, avere introdotto la "tassa di scopo" e avere di fatto annunciato che l'aumento dell'Iva è imprescindibile e inevitabile, il pupillo del Pd prepara l'ennesima mazzata ai danni del
Paese tutto: la svendita del patrimonio di Stato.Una scelta presentata come una grande opportunità per il Paese tutto, ma che in realtà porterà enormi vantaggi economici solo a poche anzi, pochissime grandi lobby di potere internazionale che vedranno così
accresciuta la loro forza e il loro peso ai danni della Penisola. «In autunno - assicura il presidente del Consiglio Enrico Letta, in un colloquio con il Messaggero - ci sarà il piano per le dismissioni, poi un road show».
Dopo avere finto di eliminare l'Imu, avere introdotto la "tassa di scopo" e avere di fatto annunciato che l'aumento dell'Iva è imprescindibile e inevitabile, il pupillo del Pd prepara l'ennesima mazzata ai danni del
Paese tutto: la svendita del patrimonio di Stato.Una scelta presentata come una grande opportunità per il Paese tutto, ma che in realtà porterà enormi vantaggi economici solo a poche anzi, pochissime grandi lobby di potere internazionale che vedranno così
accresciuta la loro forza e il loro peso ai danni della Penisola. «In autunno - assicura il presidente del Consiglio Enrico Letta, in un colloquio con il Messaggero - ci sarà il piano per le dismissioni, poi un road show».
Assicurato, insomma, l'impegno sulle dismissioni e le privatizzazioni annunciato agli investitori stranieri nel luglio scorso a Londra. «Sono qui a lavorare per cose decisive di medio-lungo periodo, tutte fondamentali per l'Italia», ha aggiunto Letta.
Ma quali sono i "gioielli di famiglia" dei quali Letta è pronto a sbarazzarsi, come si è detto, non certo a vantaggio del Paese, costretto a vendere a prezzo basso un tesoro che rischia di arricchire unicamente chi
compra?
Il forziere chiuso a doppia mandata è ricco e "depositato" al ministero dell'Economia. Via XX settembre, infatti, vanta partecipazioni dirette in una trentina di società con quote di maggioranza o controllo. Alcune di queste aziende sono quotate in Borsa e il Tesoro detiene partecipazioni di maggioranza. Asset fondamentali in settori strategici come l'energia e la Difesa. In particolare, il Mef detiene il 31,24% di Enel, il 30,20% di Finmeccanica, il 4,34% di Eni direttamente e il 25,76% attraverso Cdp. Quanto alle società non quotate lo Stato detiene il controllo di praticamente tutte le aziende. Spiccano le partecipazioni al 100% di
Invitalia (Agenzia Nazionale per l'Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d'impresa), Ferrovie dello Stato, Poste Italiane, Anas, Consip, Coni Servizi, Enav, Cinecittà Luce e Istituto Luce - Cinecittà.
L'elenco è lungo e comprende molte altre aziende: Consap (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici), Gse (Gestore dei Servizi Energetici), l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e Italia Lavoro. E ancora non è
tutto, ma l'elenco sarebbe troppo lungo per esaurirlo in maniera completa e dettagliata.
Quel che è certo è che la vendita o la svendita di società di "poco" interesse, specialmente in periodi di crisi, non attrae nessuno e anche se si trovasse un potenziale acquirente, la cifra di vendita sarebbe irrisoria. Ma quel che è peggio è che lo stesso scenario rischia di verificarsi per quelle importanti e di primario interesse per lo sviluppo e per la vita del Paese.
«In questo momento di crisi - sottolinea Maurizio Fugatti, responsabile economico della Lega Nord - procedere a dismissioni, soprattutto per quello che riguarda settori strategici per il Paese come ad esempio gli energetici è controproducente. Nei fatti si rischia di dare vita a una sorta di vendita che rischia di concludersi sottocosto magari senza fare incassare a chi vede nemmeno quello che dovrebbe portare a casa per il bene del Paese».
Il risultato? «Regalare queste attività strategiche ad altri Paesi che oggi hanno la liquidità necessaria per comprarli». E su questo Fugatti è perentorio e chiaro: «Gli asset strategici non si dovrebbero vendere nemmeno quando il sistema Paese sta bene; figuriamoci in periodo di crisi. Così facendo si rischia soltanto di ripetere quanto già fatto all'epoca delle grandi privatizzazioni delle partecipazioni statali che fece Prodi. Non dimentichiamoci - conclude Fugatti - che in quei momenti alcuni dicevano che bisognava vendere tutto e subito per fare guadagnare liquidità al sistema Paese. La morale? Abbiamo perso asset determinanti e guadagnato praticamente nulla».
Frena gli animi di chi vorrebbe vendere tutto e subito anche il sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta, "soddisfatto" per l'apertura del "dossier privatizzazioni", ma determinato a non dare vita a
una svendita: «ora entriamoci dentro per costruire un piano industriale. È necessario un approccio molto selettivo per distinguere tra gli asset strategici sui quali sono improponibili alienazioni, semmai una loro
valorizzazione, ed altri, su cui interventi in rapporto con i privati potrebbero portare a una sinergia utile».