giovedì 9 gennaio 2014

Se dietro al rincaro autostradale si nasconde la stangata al Nord


Tutte le strade portano a Roma, ma non allo stesso prezzo. A saperlo bene sono i ministri di Economia e Trasporti, Fabrizio Saccomanni e Maurizio Lupi, che con decreto hanno aumentato dall’1 gennaio 2014 il prezzo delle autostrade. Meno di quanto avevano chiesto le società che gestiscono le autovie italiane («L’incremento medio è pari a circa il 3,9 per cento, contro una media del richiesto dalle stesse società pari al 4,8 per cento»), questo riconoscendo la “perdurante crisi economica” che sta colpendo il Paese. Attenzione alle parole: i ministri parlano di “un rincaro medio”, perché la percentuale di variazione dei prezzi non viene applicata in modo uguale su tutte le percorrenze che attraversano lo stivale (cosa che sarebbe auspicabile dato che “l’Italia è una e indivisibile”), bensì alle concessionarie che gestiscono tratti più o meno lunghi delle autovie statali. In Italia sono 24, e fanno tutte capo ad Anas che, come si legge sul sito, è il gestore della rete stradale e autostradale di interesse nazionale.
Una società per azioni il cui socio unico è il ministero dell’Economia (sfatiamo quindi il mito per cui le autostrade sarebbero private perché gestite da una società per azioni), e sottoposta a vigilanza tecnica e operativa da parte del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Anas conta oggi circa 6mila dipendenti e 200 dirigenti (nota di colore, l’ente fu coinvolto nel 1993 nella vicenda Tangentopoli: 16 miliardi di lire di appalti discutibili, mille miliardi di tangenti e 3mila miliardi di lavori statali e autostradali assegnati senza gara d’appalto ma attraverso telegramma).

Anas gestisce direttamente alcuni tratti autostradali (fatta eccezione per gli otto chilometri in provincia di Trieste, sono collocati tutti al sud Italia, tra cui la famigerata Salerno-Reggio Calabria che, si legge sempre sul sito, è in fase di “ammodernamento”) e appalta alle altre 24 società i restanti 6mila chilometri che compongono la rete autostradale: 3200 circa nel Nord Italia, meno di mille al centro e quasi 1900 nel meridione. La concessionaria più grande è Autostrade per l’Italia, che gestisce 17 autostrade (le principali sono la A1 Milano-Napoli e le A14 Bologna-Taranto) le cui percorrenze sono state rincarate del 4,43 percento, come da richiesta della stessa società. Delle altre 18 operano nel nord Italia, 2 al centro (Sat e Strada dei Parchi) e 4 al sud (Anas compresa, si affiancano Consorzio delle autostrade siciliane, Autostrade meridionali e Tangenziale di Napoli).

Nota del ministero alla mano, dove è possibile vedere nel dettaglio i rincari per società, si evince facilmente come “l’aumento medio del 3,9 percento” dichiarato da Lupi e Saccomanni sia – di fatto - un’escamotage di comunicazione. Mentre al Nord Italia più della metà delle tratte sono state aumentate di percentuali comprese tra il 5 e l’8 percento, al centro il rincaro medio è stato di 5,5 percento. Al sud dello 0,4 percento (in realtà l’unico rincaro è riscontrabile sui 20 chilometri che compongono la tangenziale di Napoli, aumentati dell’1,89 percento. Zero, invece, il tasso applicato sui restanti 1850 chilometri di rete autostradale). Alla luce di questi dati, ed escludendo il meridione che in pratica è stato toccato solo marginalmente dal decreto, possiamo ricalcolate l’aumento medio dei pedaggi: non il 3,9 percento dichiarato dai ministri, bensì il 4,85 percento.

articolo tratto da: L'Intraprendente