Lombardia degradata, dunque, in
competitività: retrocessa dal centesimo al centoventottesimo posto fra le 262
regioni prese in considerazione da una ricerca europea. Notizia che
merita qualche considerazione, aldilà del moto di frustrazione - stato d'animo
del quale di questi tempi non sentiamo il bisogno - per chi, come il lombardo
tipo, vive nell'illusione di essere sempre e di diritto il primo della classe e
tralasciando le conseguenti inevitabili polemiche del tipo «è colpa tua» - «no,
è colpa tua». Prima considerazione è l'invito a leggere sempre con una certa
diffidenza i risultati di queste ricerche internazionali, i cui risultati
troppo spesso danno l'impressione di essere viziati da pregiudizi o discutibili
criteri di valutazione. Basti ricordare che secondo un'indagine «indipendente»
sulla libertà di stampa di Reporter Sans Frontieres - organizzazione della quale
sono note le tendenze sinistrorse - l'Italia si piazzerebbe al
cinquantasettesimo posto, diverse posizioni dopo Haiti, le Comores e la
Moldavia. Ma, pur salvandone la buona fede e l'indipendenza reale, a rendere
opinabili i risultati di queste ricerche contribuiscono anche i criteri, in
gran parte soggettivi, con cui si scelgono i parametri da valutare - perché
certi e non altri? - e il peso specifico che si attribuisce a ciascuno di essi.
Ma nel nostro caso, sull'arretramento del livello di competitività della regione, si impone qualche considerazione trascurata dai molti commentatori dediti al masochismo e all'autoflagellazione. Appare, cioè, abbastanza chiaro che certe debolezze del sistema lombardo sono prevalentemente imputabili allo stato centrale mentre i punti di forza sono quelli che godono di maggiore autonomia regionale. Ad esempio nella ricerca europea pesano negativamente la corruzione (indotta da uno strapotere della debordante burocrazia e dal pervasivo sistema di norme), l'inefficienza del sistema giudiziario, su cui assolutamente nulla può la regione, e l'educazione universitaria, per la quale la competenza è tutta statale. Bene invece le infrastrutture, per il cui sviluppo la Lombardia si è sempre dovuta battere e - viene da aggiungere - nonostante le resistenze dello stato centrale e della burocrazia. E bene, anzi benissimo, la sanità, vero fiore all'occhiello e motivo di vanto del «sistema Lombardia», di esclusiva competenza regionale. Così come migliora anche la valutazione del mercato del lavoro, che dalle nostre parti in questi anni di crisi ha fatto meno vittime che altrove. Tutto ciò, naturalmente, nulla ha a che vedere col reddito pro capite, che resta fra i più alti in Europa, e con il tasso di disoccupazione, fra i più bassi.
Insomma, per quanto riguarda i fattori dell'innovazione, cioè legati alle prospettive di sviluppo, quello che si riesce a gestire a livello regionale ci dà maggiori soddisfazioni di ciò che dipende dallo stato centrale. Per qualche commentatore, invece, aver investito tanto sulla carta federalista non avrebbe dato buoni risultati. È vero esattamente il contrario giacché, in primo luogo, di vero federalismo non se ne vedono tracce mentre le considerazioni che abbiamo fatto finora dimostrano esattamente il contrario, e cioè che è proprio di federalismo - ma di quello vero - che abbiamo bisogno per crescere.