Un altro schiaffo alla Costituzione. E una pezza che è, come sempre, peggiore del buco. Il Governo delle gaffes, degli esodati, della pressione fiscale alle stelle, della disoccupazione record e della mortificazione giovanile ha registrato ieri l'ennesima figuraccia su quello che doveva essere un cavallo di battaglia dei professori: la riorganizzazione delle province. La Corte Costituzionale ha infatti rinviato l'udienza per discutere i ricorsi presentati da otto Regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Campania, Molise e Sardegna), sulla presunta incostituzionalità dell'articolo 23 del decreto Salva-Italia, approvato dal governo Monti il 4 dicembre scorso. Al di là dei burocratismi, la sostanza è semplice: i governatori contestano a Monti l'atto dispotico, incostituzionale e antidemocratico con cui il Governo ha depennato funzioni e rappresentatività di organismi eletti. Un atto tra l'altro, rivisto e corretto: dopo il Salva-Italia, per normare le province si è intervenuti con il decreto sulla spending review e poi, visto che anche quello era pieno di pasticci, ecco la scorsa settimana il di sul riordino, quello sbandierato da Patroni Griffi e dalla collega Anna Maria Cancellieri con tanto di cartina colorata. Come rimediare a questo pasticcio? Mettendo nel comodino la Costituzione. E così mentre la Consulta sospendeva il giudizio (per molti scontato) sul di Salva-Italia, ecco dall'altra parte il presidente Giorgio Napolitano mettere alla firma l'ultimo dei tre decreti, quello che dal 1 gennaio 2013 dovrebbe dar via a province accorpate e città metropolitane. Il tutto nell'incertezza più totale.
E così, se anche la Consulta dovesse poi ritenere il Salva- Italia irregolare, i giochi sarebbero comunque fatti. Decisione catastrofica, chiosano dall'Upi della Toscana. «Quella della Consulta è una decisione sciagurata - spiega il presidente della Provincia di Pisa, Andrea Pieroni – In molti dicono che quel decreto presenta profili di incostituzionalità, ma chi dovrebbe pronunciarsi decide di non farlo. La verità è che tutto ormai sembra già scritto: un'ora dopo il rinvio dell'udienza è arrivata la firma del presidente Napolitano sul decreto governativo e questo la dice lunga sulla strategia che c'è dietro a questa vicenda delle province. Siamo diventati il capro espiatorio da sacrificare sull'altare dei costi della politica». E intanto a pagare in termini di disservizi e vuoto istituzionale sono i cittadini. In questo momento le Province "scadute" successivamente all'approvazione del DI "Salva Italia" sono otto: Genova, La Spezia, Como, Ancona, Cagliari, Ragusa, Vicenza e Belluno. Per loro, niente rinnovo per i consigli, nessuna elezione diretta del presidente, mentre le competenze di presidente e giunta sono state acquisite da un commissario prefettizio.
Di Massimiliano Capitanio da “La Padania" del 07.11.2012
Di Massimiliano Capitanio da “La Padania" del 07.11.2012